domenica 28 agosto 2016

EPILOGO

Quando a John Glenn, l'astronauta che per primo compì più di un'orbita completa attorno alla Terra, fu chiesto in conferenza stampa come fosse andata, rispose che non sapeva proprio cosa si potesse dire di una giornata in cui aveva visto quattro splendidi tramonti.

Ecco, io mi trovo a ripensare a queste ultime due settimane, e non saprei proprio cosa dire di un'esperienza in cui mi è capitato spesso di passare - nel volgere di pochi metri - dalla sofferenza di una salita durissima all'estasi di un panorama mozzafiato.

In cui mi sono sentito di casa a Oslo, riappacificandomi per qualche ora con la razza canina.

In cui ho pedalato sotto un diluvio, ma solo per essere accompagnato dall'arcobaleno più bello della mia vita.

In cui ho scalato più montagne che mai prima, accumulando 14.683 metri di salite.

In cui sono stato scambiato per Svizzero, Svedese, Còrso, dalla gente incuriosita dalla bandiera coi quattro mori.

In cui ho avuto l'ennesima conferma che la mia bici è una macchina da viaggio, agile e robusta, che non mi ha dato la minima noia, ed è affamata di strada.

In cui sono rimasto ammutolito a naso in su, di fronte all'aurora boreale.

In cui per due volte mi è capitato di essere riconosciuto da gente che mi aveva visto altrove, per strada, magari a decine di chilometri di distanza e giorni addietro.

In cui sono passato da strade, fiordi, sterrati, boschi, vallate, nell'unico periodo realmente estivo, schivando il maltempo che imperversava solo qualche giorno prima del mio arrivo.

In cui ho pedalato sull'oceano, varcando un ponte ripidissimo.

In cui sono andato in crisi perché ero in ritardo, la giornata stava terminando, ma non riuscivo a rinunciare a scattare foto tanto ero ipnotizzato dallo scenario.

In cui Madre Natura mi ha concesso uno squarcio di beltempo per attraversare indenne e tranquillo una delle strade più famose e pittoresche del mondo, e assieme più esposte alla furia degli elementi.

In cui ho percepito la condizione fisica migliorare ad ogni pedalata, per poi crollare nell'unico giorno di sosta che mi sono concesso.

In cui di altri italiani ne ho incontrato, ma sbigottivano quando raccontavo cosa stessi facendo. In un caso, a Geiranger, una signora incontrata nella cucina del campeggio ha poi riferito la cosa al marito, che ha voluto incontrarmi di persona perché non ci credeva.

In cui ho provato dolori in parti del corpo che neppure immaginavo di avere.

In cui ho riso da solo come un pirla, sotto sforzo in salita, ripensando a una battuta di Sonia.

In cui all'inizio avevo quasi creduto di avere sbagliato tutto, scegliendo un itinerario non all'altezza dello sforzo. Ma era solo la porta di ingresso al paradiso.

In cui mi sono goduto le facce di chi mai avrebbe immaginato di vedere un ciclista a pieno carico in cima a quella salita così dura, e ci ha tenuto ad avvicinarsi e farmelo sapere con una pacca sulle spalle.

In cui mi sono stati rivolti tantissimi sorrisi, mentre passavo per strada in bicicletta, nei negozi, nei caffè, nei campeggi.

In cui ho tirato tappe di una lunghezza mai sperimentata prima, e alla fine ho chiuso con 586 km pedalati in sette giorni.

In cui ho scoperto che ogni viaggio è una cosa a sè stante, con una propria storia, e se quello precedente è stato bellissimo fa nulla: quello dopo sarà almeno altrettanto.

In cui sono rimasto assordato dal silenzio di una foresta.

In cui dei perfetti sconosciuti, ai quali ho rivolto la parola per mezz'ora, prima di andarsene mi hanno lasciato un biglietto di auguri per il viaggio.

In cui ho dovuto reinventare all'istante la tabella di marcia a causa di un imprevisto coi treni, e fare una scelta in pochi minuti per non rischiare di rimanere bloccato per giorni.

In cui ho sofferto il caldo, il freddo, la fatica, facendoli miei, come compagni di viaggio.

In cui ho parlato da solo, per convincermi che lo spettacolo naturale che stavo attraversando fosse tutto vero.

In cui ho dormito nella sala da pranzo di una casa di pescatori, sospesa sul mare pochi metri sotto il pavimento, con i legittimi proprietari che andavano e venivano con stivaloni, salopette e berretto di lana.

In cui ho benedetto il telefono, nei momenti un pò giù. Ché ci sono stati pure quelli, ma nessuno di voi lo ha mai saputo.

In cui alla fine l'Oceano Atlantico l'ho incontrato per davvero, e ha un colore che mette paura.

In cui non mi sono mai sentito solo.

E adesso sono alle prese col reimpacchettamento di tutte le mie carabattole, lo smontaggio della bici ed il suo imballaggio, il trasferimento in aeroporto. Si avvicina il momento in cui riabbraccerò la mia famiglia, Sonia, i miei figli. Arriveranno i momenti in cui vorrò raccontare, mostrare, descrivere tutto questo ai miei bambini, minuto per minuto, chilometro per chilometro, sforzo dopo sforzo. Comunicare loro l'impegno, la fatica, e quella curiosità che mi brucia dentro, inestinguibile.
Trasmettere loro quel germe che spero li spingerà a voler conoscere i diversi mondi che abitano su questo pianeta. Perché la famiglia e la scuola sono fucine importanti, però la realtà è là fuori.

Perché - come nell'umana esistenza - la vera mèta è il viaggio.

Norway Route-2-Atlantic 2016.

Fine.

1 commento:

  1. Ciao amico mio
    Sei stato grande! !
    Nelle tue frasi c'è l'essenza di cosa significa vivere su questo bellissimo pianeta.
    Non vedo l'ora di leggere la storia del tuo viaggio al completo.
    Cosimo

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